Le opere Cavalleresche

La nascita del teatro dei pupi od “opra dei pupi”, così come lo conosciamo oggi, si attesta storicamente intorno alla prima metà dell ’800, tuttavia l’origine di questa forma di spettacolo “popolare” è ben più antica. In realtà non si può attribuire una vera data di nascita all’opera dei pupi, poiché essa è frutto di una lenta evoluzione che parte dalla tradizione dei cantari passando per i cantastorie o i “cuntastorie”. I temi e le storie trattati da quest’“opra”, ancora allo stato embrionale, sono gli stessi dei poemi epico-cavallereschi del ‘400 e del ‘500.

L’“opra dei pupi”, trae le sue storie dalle grandi epiche della letteratura classica. La Chanson de Roland (scrittore anonimo), l’Orlando Furioso (di Ludovico Ariosto), l’Orlando Innammorato (di Matteo Maria Boiardo) ed il Morgante (di Luigi Pulci), riadattati, semplificati nel linguaggio e nell’intreccio delle vicende divennero il canovaccio per narrazioni più dirette ed enfatiche. Influenzati dalle ispirazioni rinascimentale, dai gusti e dalle mode dell’epoca, i pupari hanno dato origine a paladini finemente ricoperti di armature.

Infine bisogna ricordare che durante le rappresentazioni, gli “opranti” riuscirono ad infondere nell’animo dei pupi quell’espressione di sentimenti, giustizia e libertà di cui il popolo, e non solo il basso ceto ma ancor più la borghesia e il ceto dotto, si fece portatore nel Regno delle due Sicilie del primo ‘800. L’“opra dei pupi”, quindi, ebbe anche valenza propagandistica e non è un caso se il pubblico dell’opra e lo stesso che combatté contro i Borboni per liberare la propria terra  oppressa dagli stranieri.

Sulla scena i pupi conducono la lotta tra il bene e il male che prende, nelle sue elaborazioni più recenti, anche le vesti della contesa tra i diversi guappi per la conquista e il controllo dei quartieri della città. Il pubblico riconosce così nell’“opra dei pupi” la raffigurazione di un eterno conflitto, e nei personaggi rappresentati anche i reali protagonisti della vita quotidiana. L’emozione suscitata è quindi intensa e giunge alla violenta protesta contro il pupo “cattivo”, oggetto di vilipendio e di aggressioni anche fisiche, e alla esaltazione accorata del pupo “buono”.

Proprio questa versatilità e capacità di intrecciare il reale e l’immaginario rendono tutt’oggi l’“opra dei pupi” una autentica ed attuale forma di teatro. Il popolo, ritrova i suoi eroi nell’“opra dei pupi”, questo spiega l’attenzione e la costanza con cui il pubblico seguiva, sera dopo sera, storie ed avventure che si protraevano anche per diversi mesi.

 

Storie di “Napoli antica”

Allo Stesso tempo prende forma un altro tipo di rappresentazione, le storie dei guappi, dove si narrano le vicende di cammorristi napoletani, come Michele Capuano, Tore e Criscienzo, Luciano il Vendicatore.

Le avventure di questi personaggi s’innestano nella rappresentazione romanzata delle vicende storiche del regno di Napoli in cui compaiono anche, e non di rado, figure storiche come Napoleone, Gioacchino Murat e Ferdinanando di Borbone. Furono, poi, proprio i problemi con la polizia, che non poteva permettere questo tipo di spettacoli così dichiaratamente schierati a favore della camorra, che disegnavano la figura dei camorristi come fossero dei veri eroi nazionali, accusando spesso le stesse istituzioni poliziesche di repressioni e di crimini perpetrati ai danni della gente, a suggerire l’espediente, che dovette avere successo, di mascherare queste storie sotto titolazioni false: così le storie di Malafercola e di Luciano il Vendicatore diventeranno “La storia di Marco Spada” mentre gli episodi di Tore ‘e Criscienzo e degli altri guappi saranno raccolti sotto il titolo di “Misteri napoletani”

Un altro espediente che contribuiva a legare ancora di più il pubblico allo spettacolo era quello di far partecipare, in modo spontaneo, alcune persone conosciute dal pubblico,  che si trovavano proprio in sala per vedere lo spettacolo, ma soprattutto per interagire con quei pupi che impersonavano i “cattivi”, come ad esempio Gano di Magonza che quando tramava contro Carlo Magno lo spettatore in oggetto saliva sul palco per picchiare il traditore.

Oggi non avrebbe più senso riproporre le storie dei guappi, del ciclo della camorra con quella particolare connotazione positiva che i copioni riservavano a questa, ma ciò non vuol dire che non potrebbe essere possibile una riscrittura di questo materiale alla luce delle diverse condizioni storiche della società, cosa che avveniva già negli anni d’oro dell’ “opra dei pupi”.

Il programma di una serata, prevedeva due episodi del ciclo Carolingio, un breve intermezzo e un episodio del ciclo della Napoli Antica. Nei giorni festivi il programma veniva ampliato con una “farsa comica” o con una “sceneggiata”, dove i protagonisti non erano più i pupi ma veri attori di teatro.

Gli spettacoli, tre o quattro al giorno, attiravano varie fasce di pubblico, spesso, i “signori” dei pastifici ne richiedevano uno notturno quando, dopo aver chiuso i “munazoi”, si concedevano lo svago meritato.

La recitazione era improvvisata: gli opranti univano all’ispirazione, data dal copione, l’estro creativo del momento, il che rendeva le rappresentazioni a loro modo irripetibili.

L’ispirazione deriva è vero in gran parte dal ciclo dei paladini, ma tuttavia il puparo arricchiva (ad esempio quando c’era la morte di un personaggio di spicco, detta “a sangue vero”, piccole perle che si offrivano al pubblico)  e diversificava di continuo il proprio repertorio e rendendo  l’“opra dei pupi” l’occasione per rappresentare  drammi, vicende e protagonisti del suo pubblico.

I manoscritti

All’inizio della seconda metà dell’800, l’opra dei pupi comincia ad avere un forte riscontro da parte del pubblico, nascono così nuove compagnie di pupari, (in quel periodo solo a Napoli troviamo un teatro dei pupi in ogni quartiere) la richiesta da parte del pubblico è tale da indurre gli stessi  pupari a dover scrivere e rappresentare nuove storie, si ricorre così alla rappresentazione di altri poemi della letteratura tra i quali i Reali di Francia, il Guerrin Meschino, Buova  d’Antona (di Andrea da Barberino), Guido Santo, o di più recenti come i Tre Moschettieri (di Alexandre Dumas), vengono messe in scena anche rappresentazioni sacre come ad esempio l'”Arcangelo San Raffaele” scritta da Nicola Corelli.

In alcuni casi, la rielaborazione ha dato origine a copioni almeno in parte autonomi rispetto ai contenuti e alla struttura dei poemi classici e inediti nel panorama dei manoscritti tradizionali dei pupari. La famiglia Corelli conserva tuttora manoscritti di copioni originali di cui sono autori Nicola e Vincenzo Corelli, tra i quali i Figli della foresta, i Sette figli del Sole, Palmerino dell’Ulivo, Marco Spada.